Ernesto Tagliaferri: Cagnamiente nfra 'e versiune

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*'O cunto 'e Mariarosa
*Passione
Tra queste canzoni si segnala, in particolare, napule ca se ne va.
La rivista il rinnovamento pubblicava questo saggio di Cosimo Aruta nel 1988, sul n. 163, p. 42, 43, 44. con la seguente intestazione:
"Sostando su « Napule ca se ne va! ... » di Tagliaferri-Murolo
lettura di Cosimo Aruta"
interessante è l’analisi che fa l’Aruta:
“È « Napule ca se ne và’! ... » uno dei tanti capolavori della nostra letteratura, di quelli che spesso restano nell’ombra perché non codificati ancora dalla cultura universitaria e/o di stato in un organizzato capitolo della storia letteraria.
Riflessioni sociali, conoscenza, e in parte nostalgia, di valori che hanno caratterizzato un’epoca, bozzetti di vario tipo, gusto lirico, esperienza letteraria nel senso più vasto si fondono in modo sublime al punto che, superato l’effetto immediato dell’immagine, ad una seconda lettura non sai su quali componenti soffermarti.
La lirica è sentita e vissuta fin dal primo momento: l'inizio con la congiunzione « E » istaura subito una continuità logico-affettiva, l’« E » iniziale congiunge idealmente la composizione ad una serie di valutazioni e maturazioni; eppure il linguaggio è semplice e comune: « E so’ sbarcate ’nterra Marechiare ... ».
Quell’ « E » sembra assumere anche il significato di « finalmente » quasi per accennare quella voglia di festa.
Nei primi due versi si chiude un pensiero, il pensiero si chiude con un accento, il tono dell'introduzione è quasi esclamativo.
Dal terzo al sesto verso
« So’ doje coppie ’e nnammurate,
doje maeste ncannaccate,
cu ’e marite e nu cumpare
viecchio cap’ ’e suggità »
si descrivono i personaggi, questi sono definiti nei loro significati affettivi e sociali; non manca nella descrizione quel pizzico di ironico umorismo con il quale si osservano certe classi sociali; all'immagine romantica degli innamorati che hanno per sfondo il mare segue la quasi macchietta delle « maeste ’ncannaccate » nel rispetto comunque dei valori della famiglia in un’epoca in cui anche il guappo aveva una sua etica ed andava ben distinto dal camorrista che rappresenta un delinquente di serie B.
Certamente sia il guappo che il camorrista non conducevano una vita regolata dai binari della legge, ma la differenza è sottile: il guappo aveva un'intrinseca cavalleria, era quello che « non si faceva passare la mosca per il naso », ma poteva anche non avere rapporti “malaviteschi”; non mancavano, infatti, in alcune famiglie napoletane, anche di un certo rango sociale, i così detti « guappi signori ».
Bisogna conoscere certe sottigliezze storico-sociali per sentire l’efficacia di quel bozzetto nel quale si considera un particolare ambiente popolare emblematizzato dalle « maeste ’ncannaccate ».
« Maesta » in senso letterario puro significa « maestra », in senso generalizzato rappresenta la donna che vuole decidere e fare da sé anche con una certa prepotenza; « ’ncannaccata » significa « piena di fiocchi, di nastri, tutta addobbata », l’espressione sottointende quel ridicolismo proprio della popolana che vuol fingersi elegante.
Il tono della lirica è brillante, l'accento, la punteggiatura, le assonanze, le finezze linguistiche procedono calibrati in perfetta sintonia ora per evidenziare lo « sbarco », ora la preparazione della « tavuliata », ora i canti, i suoni e la finale integrazione dei personaggi nel mare.
Pur obbedendo la mètrica al costante alternarsi strofa-ritornello per evidenti ragioni di impostazione musicale delle canzoni classiche, il tono della composizione è quello di una funzione dove il dinamismo raggiunge rapidamente valori alti per annullarsi poi in un abbandono di tipo estatico dove l’estasi è conseguente ad una cosciente soddisfazione materiale.
Il primo ritornello è sfizioso, all'immagine pittoresca della tavola imbandita segue quella del mellone in fresco e di tutta l'organizzazione necessaria alla buona riuscita del pranzo; in effetti le cibarie menzionate sono poche e semplici, ma il modo, il tono e la sequenza con cui vengono presentate fanno pensare a una grande abbuffata.
Oggi un giovane troverebbe una certa difficoltà a capire l’essenza di quei versi col « cato » e la « cantina », ma chi già supera i quarant’anni sa benissimo il rito preparatorio e la cura che si richiedevano d’estate per tenere in fresco vino e frutta prima che il frigorifero diventasse bene comune.
L'immagine che appare è arcaica, semplice, non tecnologica, ma lascia intravedere la variazione della struttura sociale in parte operante e in parte alle porte, e quando vanno via certi costumi muoiono certe culture e chi le rappresenta. Le comitive sono sane, sane per tradizione:
« Divotamente mo se fanno ’a croce,
comm’e ll’usanza, primm'accummincià »;
esse vivono le tradizioni nel loro messaggio sostanziale oltre che formale: al segno della croce segue il brindisi, al brindisi 1’« Addò va ».
L'« Addò va » sancisce la fine di un rito sacro e l'inizio dì uno più pagano, un paganesimo che non perde di vista il gusto dell’arte che fa parte integrante dei personaggi: la voce è « fina e bella » e la canzone è « Palummella »... « Palummella ca zompa e vola... ».
La festa viene gustata fino alla sua conclusione, viene vis¬suta in tutte le sue sottigliezze con « la gioia delle piccole cose », quelle che diventano « grandi » quando si è spensierati e la na¬tura ci sorride intorno.
Non sai se le famiglie « tornano vucanno » per effetto del vino o della barca, lo « scapuzziare » (muovere la testa) della maesta (classico gesto della maesta) si attenua e s’intona dinamicamente con la barca e l’effetto del vino; il compare, poi, fuori del tempo, vive quel passato dove il guappo « era nu re ».
Stupenda e reale l’immagine delle ragazze che « spugnano » i taralli nell'acqua di mare, quella zuppa, fatta sottovento, ap¬pare dolce e delicata, il mare partecipa a quella gioia e « spompeta » (spumeggia) e « fragne » (frigge) e in quello spumeggiare le mani si colorano d’argento; le mani sono « manelle » e qui è importante sottolineare che in napoletano il diminutivo non si usa solo per rimpicciolire, ma anche per instaurare un rapporto affettivo con l’elemento che si rappresenta.
La lirica è ricca e felice e ben si inquadra nella storia della nostra letteratura che molto ha da rilevare nello studio dei clas¬sici napoletani.”
 
 
 
 
 
 
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